L’abito fa il monaco

In quasi tutte le PMI con cui lavoriamo riscontriamo una pessima abitudine: la mancanza di una stabile e strutturata organizzazione.

Una organizzazione fatta di livelli logici strutturati in modo coerente e in linea con la visione imprenditoriale finalizzata al raggiungimento degli obiettivi aziendali dovrebbe essere la base per il corretto funzionamento di una impresa.

Quanto sopra si traduce in un manuale con organigramma, ruoli, funzioni e compiti chiari e assegnati a figure competenti e riconosciute che sappiano garantire efficienza ed efficacia al reparto e funzione aziendale assegnata. I flussi operativi e informativi tra reparti e funzioni a loro volta debbono essere programmati, coordinati e con feedback continuo.

Facile da comprendere, giusto?

Purtroppo, questa situazione nelle PMI è spesso sostituita da prassi consolidate nel tempo in cui esistono persone che fanno cose a loro più o meno assegnate o da loro fatte con buona volontà senza un vero e proprio impianto. I più volenterosi poi divengono i tutto fare a cui ognuno si rivolge quando non si sa a che santo votarsi.

Al posto di ordine ed efficienza si assiste a caos e colli di bottiglia con buona pace dell’imprenditore che fatica non poco a mantenere il controllo sui cicli produttivi e timing.

Il caos in azienda genera elevata inefficienza sia per quanto riguarda il controllo dei costi fissi e variabili sia per rendere il tempo speso nel lavoro poco redditizio.

Ciò incide pesantemente sulla competitività rispetto a una concorrenza meglio organizzata sia direttamente sulla marginalità.

Qualsivoglia intervento si debba fare in una impresa il primo vero snodo è fare di norma un check up sull’efficienza dell’organizzazione e poi segue il resto.

Con sorpresa di molti da un efficientamento salta fuori quasi sempre maggior potenziale di fatturato, maggior marginalità e netto miglioramento del ciclo finanziario ed economico.

Provare per credere.

Noi siamo pronti, Voi?

 

Articolo di Marco Simontacchi

30/03/2023

 

Budget vendite croce e delizia

Siamo nel periodo di redazione dei budget di vendita dei commerciali per l’esercizio prossimo.

Nella nostra pluridecennale esperienza ci siamo resi conto essere uno dei compiti più sottostimati e mal gestiti dell’area commerciale e marketing.

Redigere un budget è un’arte scientifica, arte perché va appresa e affinata nel tempo, scientifica in quanto deve basarsi su dati statistici e previsionali concreti e credibili.

Oltre a ciò, vi sono diverse variabili essenziali di cui tener conto.

Un aumento del fatturato non depurato del fattore inflattivo o dell’aumento dei listini può non tradursi in un aumento delle vendite, ma in determinate condizioni mascherare persino una perdita di quote di mercato.

Basarsi solo sul fatturato in valore assoluto, soprattutto se vi sono in gioco bonus e premialità, può essere pericoloso e disincentivante.

Altra insidia è assegnare un obbiettivo troppo ambizioso o, al contrario, poco stimolante: anziché incentivare demotivano la forza commerciale.

Ammesso di assegnare un corretto budget per ciascun addetto alle vendite ci troviamo nemmeno in mezzo al guado.

Dobbiamo ancora, se vogliamo ottenere il massimo dell’efficacia, poter dimostrare al proprio collaboratore perché sia un dato esatto e raggiungibile da lui personalmente e cosa deve fare dal giorno successivo per i prossimi giorni lavorativi dell’anno a venire e stabilire eventuali premialità.

Finito?

Nemmeno per idea, arriva ora la parte più delicata e assieme più incentivante.

I budget sommati formano il cuore del business plan: i ricavi vendite.

Non centrare l’obbiettivo in entrambi i sensi è fatto grave.

Se fatturiamo sensibilmente di più significa aver gravemente sottostimato mercato, proprie potenzialità e quelle dei venditori, che se meglio incentivati avrebbero magari fatto ancor di più.

Portare inoltre maggior fatturato, se la produzione e l’area finanza non sono adeguate, risulta essere fattore di rischio da non sottovalutare.

Se fatturiamo sensibilmente di meno mettiamo a repentaglio l’esistenza stessa dell’azienda ed è segnale di problemi generalmente abbastanza gravi.

Cosa fare adesso?

Occorre uno strumento di controllo dello sforzo quantitativo e qualitativo di tutta la rete vendita, che sia una persona o centinaia poco importa.

Tramite i dati statistici su numero visite, numero offerte, ordini, fatturato medio per dato e fascia di clientela, margini, siamo in grado tutte le settimane, di monitorare l’andamento delle vendite sia in quantità che qualità e apportare tutti quei correttivi che garantiscano, mese per mese, l’ottimale andamento degli affari che ci porteranno a centrare gli obbiettivi industriali e finanziari.

Noi siamo pronti, voi?

 

Articolo di Marco Simontacchi

28/11/2022

Team building essenziale

“Team building” è da parecchio un tema in voga, abbiamo visto declinazioni in tutte le salse, anche folkloristiche.

Non neghiamo che fare “qualcosa” insieme aumenti l’aggregazione, se non altro si crea un ancoraggio emotivo su una piacevole esperienza comune.

Tuttavia, FARE squadra ha implicazioni molto più profonde di una comune memoria e dovrebbe essere finalizzato a una condivisione non solo della visione e missione aziendale ma anche di una coscienza comune sui vantaggi competitivi che ciascun reparto può offrire agli altri e che nostri comportamenti possano risultare una minaccia all’efficienza e alla convivenza tra le varie unità.

Dovremmo acquisire una coscienza fisica, emotiva e mentale di tutto ciò che i nostri colleghi siano chiamati a fare e quanto essi siano importanti per il nostro successo. Parimenti quanto i nostri comportamenti possano essere accrescitivi od ostacolo al buon lavoro del resto dell’azienda.

Raggiunta tale consapevolezza e preso atto che anche tutti i livelli organizzativi e di comunicazione vanno rispettati, non tanto per una osservanza sterile degli ordini gerarchici, bensì affinché i flussi non creino ostacoli al corretto e scorrevole funzionamento dell’azienda, saremo pronti a dispiegare le vele e affrontare il mare aperto dei mercati massimizzando ogni risorsa disponibile.

Nel rispetto e nell’etica che creano il substrato fertile per una convivenza armoniosa e funzionale.

 

Articolo di Marco Simontacchi

09/11/2022

Professionista: istruzioni per l’uso

Le complessità da affrontare per i piccoli e medi imprenditori sono ormai simili a quelle dei grandi imprenditori, con la differenza che i secondi hanno una o più linee di management a gestire le varie aree con specializzazioni sempre più marcate, mentre i primi o optano per il fai da te, con tutti i limiti di tale scelta, oppure ricorrono a professionisti a cui appoggiarsi o a cui delegare.

Molti il primo passo l’hanno compiuto e il fatto di avere uno o più consulenti, o meglio, temporary manager in azienda non è più fatto insolito.

In altre culture tale scelta è consolidata e considerata una necessità, non più una novità, l’approccio quindi è maturo e consapevole. In Italia l’approccio è ancora incerto.

Come in tutte le scelte esistono cose da evitare e altre da appuntarsi come prioritarie.

Andiamo con ordine:

La scelta

Non stiamo comprando rame ferro o un servizio generico non specialistico, stiamo scegliendo un professionista i cui consigli o le cui decisioni potranno influire in maniera anche molto decisiva sulle sorti aziendali e dell’imprenditore.

Rivolgersi all’amico dell’amico può essere di aiuto, ma non il criterio di scelta finale, va accertata la capacità anche attraverso la storia del professionista, da quanto tempo opera, che tipo di clientela segue, che referenze può vantare, se ha nella “cassetta degli attrezzi” anche quei programmi necessari a svolgere il proprio lavoro. Utilizzare prevalentemente fogli excel non è mai un buon segnale.

Non fare un’asta competitiva, un professionista serio non gioca al ribasso, può capitare che decida di fare una tariffa accomodante per brevi periodi in casi eccezionali se il cliente merita in prospettiva futura, ma rende chiaro che appena possibile le adeguerà: le tariffe al ribasso non portano mai lontano. Si ottiene ciò che si paga, chi costa poco nel tempo rende poco, se un professionista ci serve ma anche no allora lasciamo perdere, altrimenti assicuriamoci un elemento di valore, dopo averne constatata l’effettiva preparazione.

Il rapporto

Un consulente che si rispetti che deve affiancarci per un periodo di tempo abbastanza lungo tenderà a farci contratti a forfait mensile, questo non vuol dire che quindi lo si debba spremere il più possibile. Incrineremmo un rapporto e rischiamo di farci scaricare o prendere sottogamba: quella che per noi può sembrare una domanda semplice, a volte richiede studio, ricerca ed una elaborazione per dare una risposta ragionata e consapevole. Se faccio quotidianamente telefonate con richieste metto sotto pressione il professionista, che se si trova due o tre clienti simili dopo un po’ esplode. Raggruppiamo i dubbi e le domande e facciamole tutte insieme durante gli incontri programmati.

Tra cliente e professionista si deve instaurare un rapporto di fiducia reciproca, oggi spesso anche il professionista si trova nella spiacevole condizione di rischiare in solido con l’imprenditore per le proprie scelte, con la differenza che l’azienda non è sua. Evitiamo di chiedere conferma all’amico del cugino circa ogni scelta del professionista per poi tediarlo con “mi hanno detto che…”. Non c’è nulla di più irritante e deleterio per il rapporto. Se non ci si fida del professionista cambiamolo, se ci fidiamo non tediamolo, o lo perderemo.

Non mentiamo o sottaciamo alcunchè, tanto verremo scoperti e verrà a mancare la fiducia necessaria per lavorare serenamente. Un valido professionista ha visto centinaia di casi, le nostre bugie hanno le gambe veramente corte.

Utilizziamo un solo interlocutore per interfacciarci, è molto irritante e foriero di interminabili perdite di tempo per un professionista sentirsi chiamare da diverse figure per conto del cliente per la stessa cosa. Oltre a generare una indebita pressione e far perdere molto tempo è anche un abuso della pazienza del povero professionista che si trova a dover ripetere varie volte la stessa cosa a persone diverse. Il tempo è la risorsa anaelastica per eccellenza, ed è ciò che vende un vero professionista, la cui formula di successo è: conoscenza x tempo = risultato economico. Faremmo anche la figura dei pasticcioni disorganizzati.

A volte i professionisti fanno buon viso a cattiva sorte, o a pessima abitudine, sanno che è una questione culturale e i clienti italiani, vanno generalmente educati essendo per noi ancora una relazione da scoprire. Ricordiamoci però che un professionista serio e capace si pone dei limiti, oltre i quali ci lascia alla nostra sorte.

La frase spesso utilizzata tra professionisti recita più o meno: “raddrizziamo le sorti aziendali nonostante gli imprenditori”. E a volte è vero.

Voi che dite, che rapporto avete con i vostri professionisti?

 

Articolo di Marco Simontacchi

27/07/2022

Pacta servanda sunt

In 39 anni di attività lo Studio ha visto passare molte persone, aziende, occasioni.

Difficilmente siamo categorici o giudicanti: l’esperienza ci ha insegnato una cosa fondamentale, il giudizio è spesso figlio del pregiudizio ed è elemento limitante.

Gli anni ci hanno semmai indotto a osservare con occhi nuovi qualunque fatto per non interpretarlo con vecchi paradigmi relegandoci a una preistoria della consulenza aziendale.

Tuttavia, ci sentiamo di dividere i rapporti con cui abbiamo a che fare con due fattispecie: chi mantiene la parola data e chi no.

Chi disattende quanto promette, se non occasionalmente, mina alla base qualunque rapporto di fiducia, che sia cliente, fornitore o collaboratore.

Se si ha un problema lo si esplicita, se si è in ritardo lo si comunica, se si è ricevuto un ciclo o una comunicazione si dà notifica, se si ha bisogno di una mano la si chiede, se si è in ritardo si avverte per tempo, se si è cambiata idea ci si confronta, se si sbaglia si ammette e si chiede ammenda.

Tutto il resto sono alibi e pietose scuse a rimarcare poca trasparenza e poca attitudine al lavoro di squadra.

Il latino è una lingua tanto lapidaria quanto efficace, in pochi termini rende sempre perfettamente l’idea.

“Ogni promessa è debito” rende sì l’idea ma pecca in imperativo e suona come un mite consiglio.

Volete spiccare come trasparenza, affidabilità e serietà?

Desiderate essere trattati “primi inter pares e guadagnarvi il rispetto incondizionato di chi vi circonda?

Competenza e coerenza a parte, che è altro capitolo importante, scolpitevi a caratteri di fuoco in mente il detto latino “PACTA SERVANDA SUNT”i patti debbono essere rispettati, che sancisce uno dei principi fondamentali del diritto.

Abituiamoci a promettere solo ciò che sappiamo di poter mantenere, affrontiamo le problematiche senza blandire con dolci promesse mai mantenute, impariamo a essere diretti e nudi di fronte alla realtà.

Poco c’è di più irritante del dover rincorrere una risposta, un documento, una azione promessi e dimenticati.

Poco c’è di più gratificante dell’aver risposta certa a richieste corrisposte, ci fa sentire uniti, compresi e squadra.

Riflettete su come vorreste essere trattati e su come vi rapportate agli altri e quale sia l’immagine che ne deriva.

I dilettanti allo sbaraglio fanno fortuna solo nei format televisivi di prima serata.

 

Articolo di Marco Simontacchi

28/06/2022

 

Tuttologo fai da Te: Quanto costa imparare dagli errori?

Crisi o cambio di Sistema?

In media nel 2015 sono fallite 59 imprese ogni giorno, più di due imprese ogni ora. Dal 2009 a tutto il 2017 inoltre, si contano 78.978 imprese che hanno portato i libri in tribunale, numeri che sottolineano le difficoltà che sta ancora attraversando il nostro tessuto imprenditoriale. Analizzando l’ambito territoriale, la Lombardia nei primi 3 mesi del 2015 si conferma la regione d’Italia in cui si registra il maggior numero di fallimenti, con 784 casi, pari al 20,6% del totale nazionale. Dal 2009 a tutto il 2017 si contano 17.362 imprese lombarde fallite. (Fonte: CRIBIS)

Nel 2021, nonostante i decreti covid che hanno evitato di dover ricorrere al tribunale in presenza di patrimonio netto negativo, le aziende fallite sono state 8.124 con la Lombardia sempre in testa.

Temporary Management:

Gli ambiti di applicazione in cui i temporary manager sono strutturalmente chiamati a operare sono principalmente aree di intervento risolutivo in crisi aziendali e/o sostitutive di vuoti manageriali in azienda, oppure in fasi iniziali di sviluppo del mercato o di business. In riferimento agli interventi per funzione, il temporary management è impiegato, in ordine di importanza, su progetti inerenti casi di riorganizzazione di funzioni del personale, amministrazione finanza e controllo, funzioni di produzione, sostituzione di vuoti manageriali. A questi si vanno ad aggiungere ulteriori progetti che impattano sulla sfera strategica dell’azienda e sul potenziamento del fatturato e/o riposizionamenti di mercato, business development. L’inserimento temporaneo in organico di tali figure ha una vita media intorno all’anno, anche se in diversi casi il loro ruolo può essere esteso ai due o più anni.

Il mondo cambia tutti i giorni, i vecchi paradigmi non pagano più. Utilizzate l’esperienza di chi vive quotidianamente le novità.

Gestione della Tesoreria, Gestione del Rating, Ristrutturazione Aziendale, Innovazione:

Insieme al mancato o errato passaggio generazionale, i temi suesposti sono tra i maggiori responsabili della chiusura delle Micro e PMI. Le Grandi Imprese e l’Industria si possono permettere dei Manager dedicati, le PMI cadono come mosche.

IL TEMPORARY MANAGER È UNA RISORSA NON UN COSTO

Fatevi dare una mano a stare sul mercato

 

Articolo di Marco Simontacchi

29/05/2022

Far squadra è meglio

Dalla competizione si è passati nell’ultimo decennio alla coopetizione, un mix di cooperazione interna e competizione verso l’esterno con insiemi e sottoinsiemi piuttosto complessi.

Basti pensare all’automotive, dove competitors di mercato fanno squadra nella ricerca e sviluppo, costruzione di piattaforme comuni e gruppi di acquisto.

L’evoluzione continua.

La nuova parola d’ordine è creare un ecosistema dove tutti i partecipanti possano essere interindipendenti e, verificato un comune denominatore etico e strutturale, possano coesistere supportandosi nella duplice veste di clienti e fornitori. Una partnership di filiera logica e funzionale, in cui l’unione fa la forza, sistemica e strutturale, capace di dare maggior resistenza ai singoli di fronte a choc e difficoltà di mercato creando notevoli risparmi su aree di competenza sinergiche e accomunabili.

In questo è alcuni anni che stiamo creando un “ecosistema” che per ora abbraccia finanza, risk management, consulenza, temporary management, informatica e alta formazione.

Questo ecosistema si chiama Salva Imprese ed è opensource, entro l’anno verrà presentato nella sua veste ufficiale e intende aggregare non solo operatori del settore.

L’intento è anche di coinvolgere le aziende clienti trasformandole in “Partner” in un territorio protetto e controllato, in cui Cienti e Fornitori possano dialogare sicuri di essere tra pari, almeno per quanto riguarda etica e rispetto degli accordi. Per noi il motto “pacta servanda sunt” è uno stile di vita.

Chi fosse interessato a valutare l’opportunità di aderire è ben accetto, è finita l’era del solo contro tutti, oggi più che mai l’unione fa la forza.

 

Noi ci siamo, Vi aspettiamo a braccia aperte.

 

Articolo di Marco Simontacchi

22/05/2022

Comprendiamo l’Empowerment

Si parla spesso di empowerment in azienda, vediamo in sintesi di che si tratta.

Nell’ambito professionale e delle risorse umane è lo sviluppo della consapevolezza di sé e delle proprie scelte, decisioni e azioni.

Letteralmente è il potenziamento, una presa di potere e di sviluppo del proprio potenziale personale per raggiungere obiettivi rilevanti per sé stessi e per l’organizzazione.

Cosa implica lo sviluppo delle proprie potenzialità?

  • La capacità di avere visione futura e di crederci;
  • La capacità di sviluppare l’autocontrollo e di utilizzarlo;
  • La capacità di trovare in sé stessi le risorse necessarie;
  • La fiducia nelle proprie capacità e possibilità.

A cosa si deve l’importanza dell’empowerment?

Essenzialmente all’esigenza di rendere le aziende sempre più efficienti, permettendo ai collaboratori di esprimersi al proprio massimo potenziale.

I collaboratori autorealizzandosi generano contemporaneamente valore per l’impresa stessa.

L’Empowerment si sviluppa su 4 livelli:

  • Autoefficacia
  • Sviluppo delle proprie motivazioni interiori
  • Fede – speranza che si sviluppi qualcosa di positivo
  • Pensiero positivo

Affinché ciò possa accadere l’azienda stessa deve creare le basi su cui costruire:

  • Una visione chiara e univoca a tutti i livelli
  • Convergenza di tutti i reparti verso la medesima mission
  • Chiarezza di ruoli funzioni e compiti
  • Consapevolezza delle attese aziendali in termini di obiettivi e tempi
  • Gestione e integrazione delle diversità come patrimonio aziendale
  • Un sistema premiante sia sugli sforzi che sui risultati
  • Condivisione delle informazioni

L’Empowerment è un percorso virtuoso che armonizza l’azienda rendendola più efficiente ed efficace, aumentandone la competitività verso l’esterno e la cooperazione all’interno a tutto vantaggio di clima, produttività e crescita.

È un percorso di entusiasmo e di speranza che coinvolge tutti i reparti trasformando non solo le persone ma l’azienda stessa, portandola ad esprimere il proprio massimo potenziale attraverso il proprio patrimonio principale e intangibile: i collaboratori.

Noi siamo pronti, Voi?

 

Articolo di Marco Simontacchi

25/04/2022

La magia del Team Building

Integrare le diversità si deve e si può ed è molto conveniente.

Chiariamo subito che integrazione non è omologazione, anzi è l’esaltazione stessa della diversità.

Ciascun essere umano è un insieme di valori e di credenze ad essi connesse che formano un punto di osservazione unico e irripetibile.

Ciò comporta che ciascuno di noi si specializza nel vedere un dato spettro di realtà prima e meglio di altro e dato spettro connota la propria visione della realtà.

Ne consegue che ciascuno di noi cerca inconsapevolmente tra le migliaia di stimoli che una situazione normalmente offre prevalentemente quelli che confortano la propria percezione del mondo.

Sarebbe a dire che ognuno vede una porzione di mondo tralasciando tutto il resto, come se non esistesse. Guai non fosse così, saremmo sopraffatti da un universo che non riusciremmo a contenere.

Il problema è che tendiamo a credere che il nostro modo di percepire la realtà sia universale e giusto, mentre non rappresenta che un frammento del tutto.

Tendiamo naturalmente a far “comunella” con chi ha una visione simile alla nostra e a diffidare o allontanare chi abbia una concezione della realtà diversa o antitetica alla nostra.

Pur essendo ciò istintivo, in un gruppo di lavoro siamo certi sia produttivo?

Avere tutti allineati alla stessa visione del mondo di certo rende l’ambiente più sereno. Altrettanto sicuramente sarà un ambiente di lavoro esposto al rischio di perdersi tutta una parte di realtà che può essere fondamentale al buon andamento dell’azienda, o addirittura essere la salvezza stessa.

Immaginiamo se fossimo tutti orientati alle opportunità con scarsa attenzione ai pericoli, rischieremmo sempre di prendere decisioni avventate. Servirebbe un “avvocato del diavolo” che ci metta in discussione enunciando tutti i rischi connessi a ciascuna scelta. Sarebbe probabilmente mal sopportato, tuttavia farebbe rivedere o correggere, in meglio, parecchie delle decisioni, e se si giungesse al successo senza troppi guai una buona parte del merito gli andrebbe riconosciuto.

Così c’è chi è più attento ai numeri mentre altri alle relazioni, altri ancora ai dettagli oppure al processo al contrario di quelli focalizzati sull’obiettivo.

Insomma, per fare un buon team occorrono persone con visioni e capacità estremamente diverse e vanno saputi integrare e gestire esaltando le specificità individuali incanalandole nei giusti ambiti.

Ciascun tipo di persona sarà più adatta ad uno specifico ruolo e compito, per cui si sentirà naturalmente portata e gratificata.

Fare Team building richiede capacità tecniche ed esperienza oltre che a un allenamento a saper individuare le persone giuste per il compito giusto, sapendole coordinare e integrare.

Come un direttore d’orchestra, da tanti suoni tra loro diversissimi saper trarre una sinfonia trascinante.

Noi siamo pronti, Voi?

 

Articolo di Marco Simontacchi

19/04/2022

Il Capitale intangibile prima risorsa aziendale

A volte capita di raccogliere confidenze sulla inadeguatezza di parte del personale rispetto alle esigenze aziendali. Inadeguatezza che va da una scarsa visione d’insieme, mancanza di coscienza delle priorità ed urgenze, arretratezza di cultura aziendale e professionale, mancanza di partecipazione e di entusiasmo.

La prima domanda che mi pongo è chi sia il primo responsabile, di certo non ritengo possa essere il dipendente che passa buona parte della propria vita nel luogo di lavoro e vive, respira e si nutre di ciò che l’ambiente trasmette.

Robert Dilts è dai primi anni ’90 che ha chiarito, tramite i livelli neurologici, che un ambiente non è che il necessario esito di una serie di passaggi logici concatenati. Alla origine di questo processo vi è una visione chiara dello scopo aziendale che diviene la missione dell’azienda stessa.

Questa missione contiene dei valori intrinseci che non hanno di per sé valore assoluto ma vanno tradotti e comunicati nel loro significato connotativo dell’azienda.

Ciò comporta lo sviluppare determinate abilità piuttosto che altre perché si possano generare i comportamenti attesi e necessari.

L’insieme di tutto questo processo genera l’ambiente.

Siamo certi di avere coscienza di ciò e soprattutto di aver allineato la nostra azienda su tale logica?

Se sì certamente avremo selezionato candidati alle varie posizioni in tutte le aree in modo che le loro predisposizioni e aspirazioni si combinassero con le abilità richieste.

Avremo anche probabilmente investito in formazione per rendere tutti coscienti e allineati alle logiche aziendali, così rese terreno comune e condiviso: uno scopo e una bandiera.

Vi sarà formazione costante per aiutare a far crescere professionalmente e umanamente il nostro Capitale Intangibile.

I nostri collaboratori sono la nostra prima vera risorsa, trascurarli significa erodere quel capitale, svalutarlo sino a rendere il nostro ambiente arido, sterile e a volte tossico. Utilizziamo le stesse vetture, utensili, computer e programmi di dieci anni fa?

Quando ci lamentiamo siamo certi di aver fatto quanto sopra? Se sì allora vi è stato qualche problema in selezione, se no facciamoci delle domande.

In attesa di avere i dati aggiornati da Istat, in copertina vi è l’infografica dell’ultima statistica quinquennale relativa al 2015 sulla formazione nelle aziende con minimo 10 addetti.

Il 40% delle imprese con 10 o più addetti non ha fatto formazione, il 54% dei lavoratori non ha partecipato ad alcun corso.

Di tutta la formazione fatta il 33% riguardava quella obbligatoria sulla sicurezza, visti i numerosissimi infortuni sul lavoro è un dato che grida vendetta.

Il lavoro, le mansioni richieste e le abilità correlate cambiano, anche rapidamente, nel tempo.

Persino la contabilità richiede oggi una capacità di visione e competenze diverse rispetto a solo 5 anni orsono, senza le quali l’imprenditore stesso rischia di essere inadempiente alle recenti normative e risponderne personalmente anche patrimonialmente.

Quando ci lamentiamo del clima aziendale e dei comportamenti dei collaboratori per trovare il colpevole con quasi certezza guardiamoci allo specchio.

Sarebbe ora di porvi rimedio.

 

Noi siamo pronti, voi?

 

Articolo di Marco Simontacchi

13 marzo ’22